Una notte mediterranea.

LisbonaEra una di quelle sere belle da impazzire, avevano appena cenato con un risotto con vinho tinto e salsiccia comprata qualche mattina prima nella macelleria davanti casa. Era una di quelle sere che si sapeva sarebbero state ‘belle’, niente più. Di quelle che iniziano ballando per casa, con gente che si insegue per il posto nella doccia, con capelli da asciugare al vento caldo che spingeva le stelle fino a quel quadrato di cielo che si intravedeva dal patio. Era l’ultima sera, l’ultimo di un meraviglioso #viaggio. Per quello volevano brindare, volevano ridere ancora un po’. Uscirono tutti insieme, come fossimo un gruppetto di amici affiatato. La stradina di casa, poi a sinistra, ancora su per quelle stradine dense di colore, con quella luce magica che si specchiava nelle piastrelle che segnavano i passi. Poi a destra, dopo il cinema ed eccoci arrivati, da Giulio. Il nome di una persona, come se fosse una presenza costante nelle loro vite, grassoccio, con un paio di occhiali che gli cadevano sul naso mentre preparava 5 caipirinha in versione estudiante. Dopo due risate e due parole suggerite in quel portoghese che ancora non capivano, uscirono in strada a brindare a questa vita spettacolare e piena di gioia. Le parole si inseguivano, spiegazioni in spagnolo, commenti italiani, ipotesi di bozze dai mille colori. La strada si riempiva, c’erano persone che si salutavano, poi si giravano.. chi camminava, chi correva, chi ballava. Sembrava una grande festa, forse il tutto era ancora più deciso dai festoni appesi da una finestra all’altra, non badando all’abbinamento di colori, ma dettato dalla voglia di alzare i bicchieri e rendere quella città Bella quale era. Arrivarono altri due ragazzi, tempo delle presentazioni e il gruppo si divise presto. Uno dei due guardava la ragazza riccia, le faceva battute e continuava a stuzzicarla per poterla guardare, per sentire la sua voce. I due ragazzi si isolarono, con una birra imperial in mano. Parlavano, si chiedevano cose che al sorriso non interessava. Si sfioravano le mani e si sorridevano dentro quegli occhi color nocciola sbruciacchiata. Si spostarono finchè, tra un abbraccio e un altro, trovarono il trasporto di un bacio che scivolò con facilità, come se fosse già nei piani da quando entrambi misero il piede fuori casa quella sera. Uno, due, baci ed abbracci. La leggerezza li faceva scivolare a ridosso di quelle parete decorate a fiori, persero gli amici, si presero per mano e andarono. Non riuscivano a resistere all’idea di perdere minuti di affetto.

Con un abbraccio stretto e sicuro lui prese lei e le diede un bacio sulla guancia, parlava di un 3 ottobre dal risvolto diverso, parlava di una vacanza da voler celebrare. Passarono in mezzo alla ressa di persone che si trovava sempre lì, ogni sera per ore ed ore. Lo chiamavano Erasmus Corner, si poteva capire dalla quantità di alcool svuotato nei bicchieri che invece diventano strada. Scivolarono velocemente tra quelle scarpe, continuando a cercare lo sguardo dell’altro, chiusero la porta dietro sé e salirono il piano di scale dipinte di rosso. Salutarono i ragazzi che c’erano già in casa, fecero due parole con un nuovo biondone di Malta, solite domande di rito chi sei-cosa studi-buona serata. Si ripresero per mano, come se quella fosse l’unica cosa importante, e trovarono finalmente la loro dimensione chiudendo dietro sé un’altra porta, una di quelle che parla di altri appartamenti, altre vite, di passato, di desideri. La finestra era aperta, scorreva una brezza calda, il rumorio dei ragazzi lì sotto nascondeva ogni altra possibile vita. Si avvicinarono e iniziarono la loro intima danza di baci e sussurri. Lui prese in braccio lei e le raccolse i capelli per guardarla meglio, dentro quegli occhi. Si volevano conoscere e lasciare traccia di quel ‘loro’ in quella piccola parte di vita e di viaggio. Si addormentarono poi, uno vicino all’altro, stretti fino a scaldarsi. Quando la mattina si avvicinò, il freddo li ritrovò così come li aveva lasciati. Nei mugugni mattutini lui prese la coperta, la alzò su di lei e le baciò la fronte. Si riappisolarono naso contro naso. Fu una notte bellissima, di quelle pure e mediterranee. Fu una notte di quelle da raccontare nei ricordi più lontani. Fu una notte di quelle da ricordare con il sorriso sulle labbra. La mattina, lei aveva impegni con la valigia da preparare, gli amici da salutare e un volo da incontrare. Lo svegliò sfiorandogli la schiena morbida, lui le sorrise con gli occhi ancora chiuse, la strinse a sé e si vestì per accompagnarla. Alla porta la prese per mano, la allontanò da sé, la guardò più volte e iniziò una danza di baci e abbracci, di promesse e speranze mai pensate né coltivate. Ringraziarono con quella bellissima parola che racconta: obrigado.

Mentre lei corse giù per quelle scale color porpora lui la guardava appoggiato allo stipite della porta, facendole segno con la mano e il sorriso di chi sta ancora navigando nel mondo dei sogni. Lei uscì, di fretta e con la maglia al contrario, trovò una birra vuota sull’uscio di entrata. Chiuse la porta e corse via per quella via, sperando di trovare la strada giusta verso casa. Non si girò, ma scappò sperando che lui fosse proprio lì, su quella finestra dove la sera prima le regalò un ballo, a soffiarle un ultimo bacio. Svolta a sinistra, in fondo alla strada a destra e poi sempre dritto fino alla piazza.

Era l’alba, i primi movimenti in quella calda città, il cielo rosa gonfio di nuvole che lasciavano il posto al sole: un nuovo giorno per rinascere.

LisbonaLisbona

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